
A proposito di rappresentazione
A proposito di rappresentazione
Quello che guardiamo sullo schermo ci influenza da sempre.
La visione e l’immedesimazione nelle storie che ci vengono raccontate hanno da sempre un grande impatto sulla nostra vita. Ma spesso quello che ci viene raccontato passa solo attraverso la lente e lo sguardo di alcune persone. Tutto il resto non ci viene mostrato.
Sappiamo bene quanto l’industria audiovisiva operi discriminazioni spesso e volentieri, ma mentre negli anni le rappresentazioni che riguardano genere, etnia e orientamento sessuale hanno guadagnato spazio, le persone con disabilità sono la minoranza meno rappresentata sullo schermo (e le donne con disabilità ancora meno).
Diciamolo, il mondo degli audiovisivi è tuttora ancorato a numerosi stereotipi, alla classica rappresentazione strappalacrime delle persone con disabilità, narrazioni abiliste che tendono a “sistemarci”, “aggiustarci”, personaggi poco sfaccettati che hanno la solita funzione di ispiratori motivazionali per l’amico o il parente “abile” di turno, gente che folgorata sulla via di Damasco se ne esce con frasi tipo: “Ahhh, che sciocco che sono stato a lamentarmi tutto il tempo della mia unghia incarnita. Grazie, amico carrozzato, tu si che mi hai insegnato la vita”.
Premesso che non ho mai capito questa necessità di giudicare la vita altrui, ma soprattutto, se dovessimo vivere facendo sempre e solo paragoni dovremmo camminare con un sorriso stampato sulla faccia h24, e in tutta sincerità sarebbe un tantino inquietante.
Il punto è che per tutto ciò che passa sullo schermo, la scelta della narrazione diventa cruciale. E una narrazione che sia autentica non può passare sempre e solo attraverso uno sguardo esterno, non può escludere la presenza delle persone con disabilità nella scrittura, nella produzione e nella recitazione.
Se non possiamo riconoscerci in quello che guardiamo al cinema o in tv, vivremo sempre la sensazione inconscia che le nostre vite non siano degne di essere raccontate, elaborate, celebrate.
È tempo di cambiare narrazione, è tempo di raccontare la nostra storia.
P.S.: in diapositiva una “diversamente tizia” che impone la sua presenza sullo schermo.